Nel marzo 1547 gli eventi in Europa sembrano prendere una piega ormai irrimediabile: il concilio veniva effettivamente spostato da Trento a Bologna e poco tempo dopo moriva Francesco I di Francia, lasciando il regno a un figlio giovane e impulsivo; nel frattempo Carlo V aveva sostanzialmente piegato con le sole sue forze la lega di Smalcalda e si apprestava a chiudere la partita il 24 aprile con la battaglia di Mühlberg. I timori in Italia e soprattutto nella cauta Venezia di una discesa dell’imperatore si facevano sempre più palpabili. L’acme di questa crisi irreparabile degli equilibri si sarebbe per verificata l’11 settembre di quell’anno, con l’ultima e forse la più simbolica delle congiure che avevano percorso la Penisola nei mesi precedenti: Pier Luigi Farnese, figlio di Paolo III e duca di Parma e Piacenza, veniva brutalmente ucciso da alcuni nobili piacentini con l’evidente appoggio del governatore di Milano, Ferrante Gonzaga, e del partito imperiale. Giovanni Della Casa si trova dunque in quei mesi al centro della politica farnesiana, caratterizzata da incertezze, dubbi e timori, eppure, come testimonia la corrispondenza, fu lucido e fine interprete delle vicende del suo tempo, così come fu fedele e integerrimo servitore dei suoi padroni.